Vi cureremo alla Cinese di Caterina Visco da Shanghai (27 agosto 2010) Una tradizione millenaria unita alla moderna prassi scientifica e clinica. È quello che la Cina vuole fare con la sua medicina tradizionale. Per curare i suoi malati, ma anche per invadere i mercati dell'Occidente con pillole e preparati nati nella medicina tradizionale cinese e trasformati farmacologicamente per essere testati secondo i canoni della nostra medicina scientifica, l'unica che i nostri mercati possono accettare. Non si parla di corni di rinoceronte o di attività fisiche dai nomi strani . Ma di formulati erboristici e naturali, adoperati ogni giorno da milioni di persone, il cui corretto uso nel mondo moderno e soprattutto nel mondo occidentale ha bisogno di evidenze scientifiche. Procurare queste evidenze, individuare dosaggi consigliati, target specifici ed eventuali effetti collaterali secondo i parametri occidentali è il lavoro a cui oggi si dedicano massicciamente centinaia di ricercatori cinesi. E per il quale lo Shanghai Institute of Materia Medica (Simm) ha avviato collaborazioni internazionali. Al centro di un lavorio che sta cominciando a dare i suoi frutti. Ottenendo riconoscimenti da parte della comunità internazionale. Due dei maggiori editori mondiali in campo medico e scientifico, per esempio, hanno recentemente dato via a progetti con il dichiarato obiettivo di creare un ponte tra la medicina tradizionale cinese e quella occidentale. Elsevier ha lanciato la versione on line e in inglese del "Chinese Journal of Natural Medicine". Springer, invece, oltre ad aver annunciato la pubblicazione del "Chinese Journal of Polymer Science", rivista ufficiale della Società Cinese di Chimica, che si va ad aggiungere al bacino di oltre 90 riviste di alto livello sulla ricerca cinese, ha lanciato una nuova serie di manuali in inglese intitolata: "Fondamenti di medicina cinese", tre volumi realizzati dall'Università Battista di Hong Kong in collaborazione con alcuni rappresentanti della Università di Pechino di Medicina Cinese. L'invasione dell'Occidente è cominciata. Forte anche di un successo consolidato, perché la medicina tradizionale cinese ha già offerto al mondo l'Artemetere, derivato dall'artesimina, il principio attivo estratto dall'Artemisia annua. Grazie alla collaborazione con lo Shanghai Institute of Materia Medica, il colosso farmaceutico Novartis ha realizzato il Coartem, un potente antimalarico diffuso in oltre 80 nazioni, la cui formula è stata inserita nel 2002 nella lista dei medicamenti essenziali dell'Organizzazione mondiale della sanità. "Lo Shanghai Institute of Materia Medica è l'unico istituto interamente dedicato alla scoperta e allo sviluppo di nuovi farmaci dell'Accademia Cinese delle Scienze", spiega il vicedirettore Yang Ye. Oltre all'artemetere, il centro, situato nel cuore dello ZhangJiang Hi-Tech Park nel distretto di Pudong a Shanghai, ha sviluppato anche altri principi attivi riconosciuti a livello internazionale. Per esempio l'Uperzine A, isolato dalla Huperzia serrata, che potrebbe migliorare i deficit di memoria nei soggetti anziani e nei pazienti colpiti da Alzheimer e il Sale di depsidi iniettabile, un fitofarmaco per la angina pectoris, autorizzato per pazienti cinesi e statunitensi. In totale, tra il 2005 e il 2009 i brevetti approvati sono stati 92, di cui 12 di livello internazionale. L'Istituto di Materia Medica conta tre centri di ricerca nazionali, sei dipartimenti, sei divisioni per la scoperta e lo sviluppo di farmaci. Fa parte del Simm anche lo Shanghai Research Center for Modernization of Traditional Medicine (Sctcm), una struttura dedicata alla ricerca dei principi della medicina tradizionale cinese secondo i metodi scientifici occidentali. "Si studiano i dati riportati in letteratura e si scelgono alcuni ingredienti attivi di cui si analizza la struttura e la composizione", illustra Li-Hong Hu, ricercatore del centro che lavora alla scoperta di farmaci basati sulla Mtc con un approccio multidisciplinare: "Una volta individuati, si sperimentano in vitro o in vivo, e se ne modifica la composizione chimica fino a ottenere nuovi formulati efficaci e il più possibile sicuri". Negli ultimi anni Li-Hong ha lavorato alla scoperta di un nuovo trattamento per il diabete e per l'obesità basato sulla berberina (Bbr), sostanza presente in diverse piante e adoperata nella medicina tradizionale per il trattamento delle infezioni intestinali, recentemente presa in esame per il trattamento del diabete. Il ricercatore insieme al suo gruppo di lavoro ha individuato due derivati della berberina che si sono dimostrati efficaci su cavie resistenti all'insulina. Non solo, insieme ad altri due ricercatori, Li-Hong sta lavorando allo sviluppo di un antitumorale derivato dalla vinblastina, la cui attività antineoplastica è riconosciuta da oltre 40 anni in Cina. Analoghi di questa sostanza sono alla base di due farmaci approvati e correntemente utilizzati nelle terapie oncologiche: vindesine e vinrelbine. Ma l'obiettivo degli scienziati cinesi è quello di identificare modifiche strutturali che potrebbero portare a molecole più efficaci e meno tossiche. E di fatto Li-Hong ha già in mano una sostanza che sembra avere una maggiore efficacia contro il tumore e una minore tossicità acuta. Se gli antitumorali sono ancora di là da venire, l'Antrodia camphorate, impiegata nella medicina tradizionale cinese per trattare le malattie del fegato e le intossicazioni da farmaco è già in dirittura di arrivo per sbarcare nelle nostre farmacie: un articolo sul "Journal of Ernopharmacology" ha dimostrato che i prodotti fermentati di questa pianta sono capaci di proteggere il fegato. E l'Antrodia non è l'unico rimedio tradizionale a essere stato oggetto di uno studio scientifico che ha confermato le proprietà riconosciutegli dalla farmacopea cinese. Una ricerca pubblicata su "Respiratory Medicine" ha mostrato infatti l'efficacia dell'Antiwei, una tradizionale prescrizione cinese per la cura dell'influenza. Nello studio metà di un gruppo formato da 480 pazienti con sintomi influenzali ha assunto 6 grammi di questo composto due volte al giorno per tre giorni, e l'altra metà ha invece assunto un placebo. Secondo i risultati, il medicinale cinese ha migliorato i tempi di recupero del 17 per cento e ha ridotto sin dal primo giorno la gravità dei sintomi del 50 per cento, sia nei pazienti con l'influenza sia in quelli affetti da forme parainfluenzali. Anche l'efficacia della Crataegus pinnati fida è stata riconosciuta in uno studio pubblicato sul "Biological Trace Element Research". La ricerca ha mostrato gli effetti positivi delle somministrazione dell'estratto di foglie di questa pianta appartenente alla famiglia dei biancospini nella prevenzione della cataratta indotta dall'azione ossidativa della selenite. Insomma, lo sforzo per rendere scientificamente occidentale la medicina tradizionale cinese è appena cominciato, ma sta già dando frutti che potranno generare mercati di tutto rispetto. Ovvio che Big Pharma sia sbarcata massicciamente oltre la Muraglia, col duplice scopo di entrare nel mercato cinese e di contattare le centinaia di ricercatori che, nel manipolare la sterminata farmacopea cinese, hanno in mano un tesoro. Un miliardo di dollari in cinque anni per costruire il più grande istituto di R&S farmaceutico in Cina, ad esempio, è l'investimento deciso da Novartis alla fine dello scorso anno per espandere la sua presenza nel Paese. Il nuovo centro sorgerà a Shanghai e accorperà il presente Novartis Institute for BioMedical Research (Nibr), diventando il terzo polo R&S del colosso svizzero, dopo Basilea e Cambridge (Massachusetts, Usa). In questo modo, Novartis, conta di superare presto Pfizer, detentrice della fetta di mercato cinese più grossa. Ma anche le altre industrie del settore vogliono partecipare al banchetto e, da Astrazeneca a Gsk, a Schering-Plough, numerose aziende stanno investendo molto per non rimanere escluse da questo ricco business. Pfizer, dal canto suo, ha già investito oltre 500 milioni di dollari e ha un centro di R&S a Shanghai. Inoltre, l'azienda produttrice del Viagra ha da poco acquisito la Tianjin Tianyao, una farmaceutica cinese, rendendo ancora più solida la sua leadership nella produzione e distribuzione di glucocorticoidi. Ottanta milioni di dollari è invece la scommessa di GlaxoSmithKline per il nuovo centro di ricerca e sviluppo nel campo delle neuroscienze a Shanghai, che si concentrerà soprattutto su sclerosi multipla, morbo di Alzheiemer e Parkinson. Mentre Sanofi Aventis ha appena concluso un accordo di collaborazione con gli Shanghai Institutes for Biological Sciences per lo sviluppo di nuovi farmaci destinati al trattamento di malattie neurologiche, diabete e cancro.